Le stanze di Rita
O dei mancanti universali
Saggi di Marco Dotti e Susanna Verri
Di struggente intensità drammatica, ma anche ricco di un'imprevedibile ilarità, il dialogo-monologo di Rita si svolge sul filo del paradosso, in un continuo mutamento. Nel suo universo mentale in costante disequilibrio sull'orlo dell'abisso, fenditure sublimi e guizzi improvvisi di fenomenale estro fanno trapelare segnali per una differente libertà dell'umano esistere e pensare. È in gioco la conferma della propria esistenza e di quella di una realtà esterna. “… ho tutto nella mia mente; qualcosa può fuggir via, ma io non voglio. Non voglio non sapere! Debbo essere là dove c'è la coscienza che dici, ma debbo sapere se ci sono; con la coscienza o una qualsiasi altra cosa”. Rita osserva il mondo. Un mondo in cui non vi è generosità e che non la riconosce, ove non c'è posto per la bizzarra e imperfetta idea che lei si è costruita per sopravvivere, o che gli altri le hanno costruito intorno come gabbia o come armatura con cui difendersi da ciò che è diverso. Di nulla quasi le importa, sul piano degli affetti, ne teme troppo la sofferenza. Risponde per lo più come la gente vuole. Soltanto le voci al suo interno le dicono ciò che non va e lei lo riferisce a Giuseppe – il suo io-altro, l'amico e il maestro, l'autore dell'opera? Lungo gli incontri con se stessa e con Giuseppe scopre una o più vie alla volta di un mondo possibile valido per lei e per chi con lei procede in questo ricercare.
Paolo Ferrari
a Poetry Vicenza 2017
29 aprile Vicenza
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