In memoria di Nguyên Huy Thiêp
Il nostro ricordo del grande scrittore vietnamita scomparso il 20 marzo 2021
NGUYÊN HUY THIÊP
Via via riacquista una relativa libertà di movimento e fa mille mestieri. Per tre anni gestisce un piccolo ristorante dove cucina le specialità del Nord del paese e continua a scrivere: “Come ai tempi dei mandarini, esiste una lista di parole che non possono essere usate, pena il castigo. Ma basta dire la verità con altre parole e si è inattaccabili”. Il successo letterario e il seguito di critici e di lettori in Vietnam e all’estero lo hanno reso “intoccabile”, tollerato dal regime. Può pubblicare e recarsi all’estero.
UN ČECHOV D’ORIENTE
Thiêp: Il Vietnam contemporaneo ha attraversato una lunga guerra iniziata nel ’45 ed è terminata nel ’75. Ci sono state altre guerre meno importanti: quella con la Cina nel 1979 e quella con la Cambogia nello stesso periodo. La società vietnamita ha iniziato a vivere una vita normale a partire dal ’86. Prima dell’86 c’era certo una letteratura, come anche la scienza, l’economia, le arti, ma la letteratura trattava soprattutto della guerra. La letteratura, il teatro, come la musica, sono stati per tanto tempo considerati come un’arma al servizio della guerra. La letteratura dimenticava la vita quotidiana per parlare soprattuttto della guerra.
La Cecla: Quando la guerra è finita lei aveva 25 anni?
T: Sì. Ero insegnante di storia.
LC: Insegnava la storia nelle montagne?
T: Mi sono ritrovato ad insegnare tutte le materie delle scienze umane: la letteratura, la geografia, la storia. Ero a Cela, alla frontiera col Laos.
LC: Per questa ragione che ha scritto racconti sulle minoranze?
T: Sì. È un argomento che tratto spesso nella mia opera.
LC: Non ha quasi mai scritto sulla guerra. Ha scritto molto sugli effetti della guerra, è questo che la differenzia dagli altri.
T: Ho scritto un centinaio di racconti, una decina di opere teatrali. La gente cerca sempre di inserirmi tra i postmoderni o altri, ma mi considero uno scrittore realista. Non sono capace di scrivere altro se non le esperienze da me vissute. È vero, non ho mai scritto sulla guerra, ma sui suoi effetti e su come l’ho vissuta indirettamente. Prima la letteratura vietnamita non parlava dell’individuo. Anche qualora se ne accennasse, era un individuo che non provava né gioia, né tristezza, né sofferenza personale, non aveva opinione né pensiero personali. Penso di essere stato uno dei primi scrittori vietnamiti a lavorare sull’individuo, a parlare di un essere umano che prova sofferenze e ha pensieri propri.
LC: Il suo primo successo in Francia è stato Un generale in pensione?
T: Sì. Ha che fare con l’argomento stesso del racconto. È il primo racconto, il primo testo letterario che parla di un generale. Il Vietnam è un paese feudale, dunque c’è la tradizione di parlare dei re, dei generali, come se fossero degli eroi, di mitizzare i personaggi diciamo “superiori” nella gerarchia militare o amministrativa. Parlando di un generale ho rimesso in questione la società vietnamita. Mi sono nello stesso tempo interrogato sul significato di questo personaggio, sul suo impegno politico. Ma penso che il successo del racconto dipenda anche dallo stile che è molto rigoroso, sobrio. In questo breve racconto ho potuto evocare argomenti molto diversi. Per molto tempo la letteratura vietnamita ha cercato di abbellire la vita con frasi melodiose, romantiche, ma quando ha parlato della guerra, ha usato sempre metafore, mentre con Il generale in pensione ho deciso di scegliere il vocabolario della vita quotidiana, rude, crudo. La nascita di questo racconto corrispondeva alla “perestroika”, al rinnovo del Vietnam. Era una condizione molto favorevole. …
Nel 2013, le tre pubblicazioni di racconti sono state unite in un unico volume
Thiêp ritrae il mondo corale dei villaggi del Vietnam riuscendo a cogliere con pochi tratti l’essenza delle cose. Gli eventi del quotidiano fanno da trama alla fine osservazione di caratteri, credenze, trasformazioni che contraddistinguono le zone del paese lontane dai grandi centri cittadini. Con uno stile antiretorico e conciso, l’autore fa emergere una realtà cangiante, la straordinarietà e l’insensatezza della vita, l’ironia e la forza del suo popolo. Senza tuttavia risparmiare una critica sociale e politica al suo paese, come nel celebre racconto Il generale in pensione, in cui il potere percepì il pericoloso stravolgimento dei gloriosi ideali rivoluzionari e i giovani colsero l’audacia di uno spirito libero. La raccolta è accompagnata dagli scritti di Claudio Magris e Franco La Cecla e dal discorso tenuto dall'autore in occasione della consegna del Premio Nonino.
Ascolta qui l'introduzione a Soffi di vento su Hua Tat letto da Erika Carretta
“La sua è grande letteratura perché non si distrae dall’assoluta immanenza della condizione che lo circonda, una condizione che è stato il primo a raccontare in un paese dove racconti scritti erano estranei all’uso comune – ma non lo erano le canzoni, i Ca Dao, i racconti di villaggio, le storie passate di bocca in bocca.” (F. La Cecla, qui il pdf del suo testo a postfazione del libro)
INCONTRO AD HANOI
L’appuntamento è alle 8.30. Un orario comodo, da “mezza mattina”, in un paese in cui la vita comincia attorno alle 5, alle 6 si fa ginnastica e alle 7 aprono le scuole.
Thiep abita a sud-est di Hanoi, in un villaggio ormai inglobato dalla periferia. Il taxi ci lascia sulla strada principale. Il problema ora è riuscire a trovare la casa, in un intrico di stradine tipo casba, costeggiate da muri bianchi, alti meno di due metri. Per fortuna Thiêp è così conosciuto che basta chiedere a qualsiasi negoziante, muratore o passante per avere la direzione. Ci accompagnano Lien e Chau, due interpreti inviate dalle autorità. Chau è già stata qui varie volte, Lien invece viene per la prima volta e sotto il suo aspetto severo sembra essere un po’ emozionata. Thiêp, autore controverso e per anni oggetto di pesanti critiche e censura, è oggi uno degli scrittori più noti e stimati del Vietnam. Le sue storie parlando del passato dicono molte cose sul presente. In particolare le polemiche sorte intorno al suo più famoso racconto Il generale in pensione hanno fatto ottenere davvero la pensione a tanti che avevano fatto il militare e che oggi gliene sono riconoscenti.
Finalmente Chau riconosce il portoncino d’ingresso, ad angolo tra due vicoli, anzi tre contando la strada da cui siamo arrivati. Ci viene ad aprire Thiêp in persona, sorridente e con la sua camminata lenta e cadenzata. La casa è circondata da un grande giardino, con alberi da frutta, fiori e sulla destra il grande busto di Buddha che Thiêp ha modellato con le sue mani quando è stato confinato agli arresti domiciliari. Entriamo in una grande stanza, in penombra rispetto alla luce del sole all’esterno. È il 4 gennaio del 2006. Ci sediamo su sedie e bassi sgabelli attorno a un tavolo rotondo, vicino alla finestra; fuori c’è il sole, che filtra attraverso i rami degli alberi, illuminando la stanza.
Thiêp racconta che la sua famiglia è di origine contadina, di Khu’o’ng Ha, un villaggio di origine cham, che ancora oggi conserva questa sua caratteristica. Durante la guerra franco-vietnamita la famiglia era sfollata sulle montagne, a Thai Nguyên, dove Thiêp è nato nel 1950. Poi, nel 1960, la famiglia è tornata al villaggio. In questo paese ci sono molti artisti perché, spiega Thiêp, verso nord sono venuti soprattutto gli artigiani, abili nella lavorazione del legno, e donne belle cham.
In seguito Thiêp ha insegnato storia alle scuole superiori di So’n La. Nel 1987 ha scritto i primi racconti, che hanno subito avuto reazioni negative da parte del governo. Le bozze dei suoi scritti sono state requisite dalla polizia. Thiep si accorge allora che scrivere è un mestiere pericoloso, anche se nel frattempo si è fatto molti amici. Comunque sia, per vivere comincia a fare altri lavori. Qui vicino c’è Bát Trang, noto come il paese della ceramica. Thiêp dipinge ceramiche, apre un ristorante.
A questo punto Thiêp si alza, esce dalla stanza e torna con una pila di piatti. Dice che quando aveva il ristorante faceva i ritratti dei suoi clienti, poi durante la cena portava a cuocere i piatti decorati e a fine serata li regalava come ricordo agli avventori. Quindi prende un piatto bianco e continuando a parlare si mette a dipingere con un sottile pennello il ritratto di Maurizio...
Oggi per Thiêp è ancora difficile ricevere l’ok per pubblicare. Allora, con l’aiuto di amici esperti di informatica, fa girare i suoi saggi in Internet. Lui non vuole avere a che fare con la politica ad alti livelli, ma solo con il popolo viet. Tra l’altro non sa nemmeno perché dicono che i suoi testi sono politici…
NGUYÊN HUY THIÊP IN ITALIA
Nel settembre del 2005 Nguyên Huy Thiêp è invitato al Festivaletteratura di Mantova.
Per la presentazione dei suoi due primi libri viene scelto il Teatro Bibiena, uno dei gioielli della città. Sul palco insieme a Thiêp ci sono Franco La Cecla, scrittore antropologo e primo scopritore del talento dello scrittore vietnamita, e Tran Tu Quan il suo traduttore in Italia. La sala è colma.
Nel 2008 il Premio Nonino Risit d’Âur, attribuito da una giuria internazionale di cui facevano parte V. S. Naipaul, Peter Brook, Edgar Morin, Adonis, Claudio Magris, Ermanno Olmi e altri grandi della letteratura attuale, viene consenato a Nguyên Huy Thiêp. Alla premiazione Magris che era stato uno dei suoi maggiori sostenitori in giuria (lo aveva conosciuto in Vietnam) parla di uno scrittore di levatura universale, facendone emergere le capacità narrative e stilistiche. Un importante riconoscimento a cui l’autore risponde con un bellissimo ringraziamento e con un breve racconto che Olmi riprenderà in occasione di una trasmissione televisiva e che proponiamo più sotto.
APPROFONDIMENTI
Proponiamo qui sotto la prefazione di Claudio Magris a Vietnam Soul di Nguyên Huy Thiêp. Questo testo era inizialmente apparso sul «Corriere della Sera» del 23 Gennaio 2008, con il titolo: Nguyên Huy Thiêp: il mio Vietnam dopo le bombe e le repressioni.
Anni fa, nell’infuriare del conflitto in Vietnam, ho sentito per caso alla televisione, non ricordo più se tedesca o francese,
un’intervista a un dirigente nordvietnamita il quale, in un perfetto francese, diceva che il suo popolo, coinvolto da decenni
in una guerra che aveva impegnato più generazioni, correva il grande pericolo di identificare la vita con la guerra,
di non saper concepire la vita senza la guerra. Finita vittoriosamente quella con gli Stati Uniti, ci sarebbero poi ancora
state la spedizione in Cambogia e la batosta inflitta all’armata cinese scesa incautamente per punire il Paese teoricamente
fratello. Non ho mai dimenticato la civiltà con cui quel leader, in un momento assai duro del suo Paese sotto le bombe
americane, parlava della guerra, rassegnato a farla e – come l’esito ha dimostrato – con risoluta efficacia, ma preoccupato
che essa potesse venire a poco a poco accettata o addirittura diventare un ideale. Quando, molti anni dopo, sono stato nel
Vietnam unificato, ero io che pensavo alla guerra di un tempo molto più dei miei ospiti e interlocutori vietnamiti, protesi
al presente e al futuro.
L’atmosfera gentile di Hanoi suggeriva la pace, non il culto dell’eroico passato prossimo; diceva la vita modesta e operosa di
un popolo amante delle piccole cose, che ha onorato con fiori i soldati cinesi che ha dovuto abbattere quando l’hanno invaso.
Nguyên Huy Thiêp – nei suoi bellissimi racconti di vita umile e oscura, che non ha bisogno della guerra per dover tirar
fuori il coraggio e la pazienza necessari per sopravvivere – esprime profondamente questa corda essenziale della sua gente,
la sua difficile e pacifica epica quotidiana nei campi, nella foresta, nelle risaie, sui fiumi anni fa incendiati dalle bombe al napalm e stampati nella nostra memoria da Apocalypse Now.
Gli interessa la vita, che sente opposta alla guerra: in questo senso la sua voce, personalissima e insieme corale, è una consolante risposta alla preoccupazione di quel lontano dirigente.
Nell’intelligente retorica che spesso segue una gloriosa vittoria, accentuata in questo caso dal regime autoritario di Hanoi,
Nguyên Huy Thiêp è divenuto un dissidente, in quegli anni che hanno visto la ricostruzione del Vietnam (scolarizzazione, opportunità estese a quelli che prima erano plebe) ma anche la violenta repressione, la vendetta travestita da rieducazione in
durissimi campi di prigionia, la persecuzione dei boat people, la fallimentare riforma agraria – da anni apertamente e liberamente criticata – con la sua collettivizzazione che ha travolto tanti piccoli proprietari e creato nuovi profittatori e favoritismi.
In questo clima, Nguyên Huy Thiêp – nato nel 1950, studente alle scuole cattoliche nonostante le tradizioni buddhiste e confuciane della famiglia, insegnante e poi illustratore di testi scolastici – è divenuto un dissidente, con difficoltà e talora divieto di pubblicare e di recarsi all’estero, ostacoli poi superati. Ma già alcuni anni fa, a Hanoi, ho potuto incontrarlo liberamente. In tutte le sue vicissitudini, ha mantenuto un’assoluta coerenza alla sua vocazione di scrittore; per questo è considerato il più grande tra gli autori contemporanei del suo Paese, pure in un periodo in cui la letteratura vietnamita conosce una vivace fioritura, che comincia a essere nota anche in Italia.
Che la più viva letteratura contemporanea vietnamita sia dissidente o comunque critica non può stupire ed è anzi un segno
di vitalità. Ma se le autorità vietnamite hanno stoltamente maldigerito la rappresentazione del prosaico dopoguerra seguito all’eroico conflitto data da Nguyên Huy Thiêp nel suo più celebre racconto, Il generale in pensione, è anche ingenuo o stolto meravigliarsi, come accade in Occidente, che il Vietnam sia un paese come gli altri, capace di grandezza in determinati momenti storici e ovviamente non scevro di errori o colpe in altri. Essere stato capace di una grande, straordinaria guerra di liberazione non trasforma necessariamente il Vietnam in un Paese di santi, eroi e navigatori, immuni dalle contraddizioni, errori, corruzioni e sopraffazioni di cui ogni Stato e ogni società si rendono prima o dopo colpevoli.
Nguyên Huy Thiêp è uno scrittore libero, in un Paese che va sempre più aprendosi a una società civile. Nei suoi racconti
egli coglie l’intensa poesia della sua terra mescolando la dura esistenza contadina a una fantasia mitica che prende corpo
nei pensieri e nei sentimenti degli uomini. Racconta, senza illusioni ma con amore, la foresta, il lavoro dei taglialegna, lo
scorrere dei fiumi in cui il mormorio di leggende antiche si incontra con le pene e i desideri del presente, della vita che
fluisce antica e nuova. Nguyên Huy Thiêp è maestro del cogliere il dettaglio, ciò che svela un sorriso, un’ombra nel bosco
o un gesto qualsiasi; coglie tutto questo con una lucida e precisa freddezza stilistica, che trasmette tanto più fortemente
la poesia delle cose e del cuore. Pietas familiare, distacco di generazioni, trasformazione sociale che s’inserisce nel solco della storia come un rivolo in un grande fiume; animali, spiriti della foresta, utensili, cibi, odori.
Leggere Nguyên Huy Thiêp conferma l’impressione di forza e di gentilezza che si prova quando si entra nel suo Paese; anche
grazie a lui il Vietnam appare, per usare un’espressione di Canetti, una “provincia dell’uomo”.