Nella vertigine d’un’assenza
(di vitamorte, di tempospazio e di coscienza)
Prefazione di Sonia Caporossi
Nella fase attuale storica sembra cadere tutto il mondo in più
d’una vertigine. Dalla pandemia a causa del coronavirus siamo
passati ancora prima che questa diventasse endemica, più innocua,
meno minacciosa, a una fase di guerra nel cuore dell’Europa con
l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin. Da una vertigine
nasce un’altra, ancor più straniante e straniata. Come se l’intero universo
fosse scosso da un sussulto profondo, quasi abissale, una voce che vuol
dire, vuole spalancarsi, un tremore che scuote il cuore del mondo, il suo
pensiero alla ricerca d’un differente stato possibile, sempre che questo sia
accessibile e praticabile. Questo libro s’apre in un presente in cui vale l’esistere d’uno spaziovuoto, continuamente e almeno in parte cangiante, nel quale le cose e i pensieri prendono posto, avendo luogo senza occupare. Un differente livello è a fondamento d’una ricerca in forma di narrazione-saggio: uno stadio dell’essere che comprenda uno spazio, un tempo
dell’esistere capaci di un mancar-mancaare, con l’apertura a una specifica proprietà del pensare e nominare le cose. Essa è idonea a modulare la
condizione umana liberata dalla cosità eccessiva del reale come attualmente
è percepito: un’assenza di vitamorte, di tempospazio, di quella facoltà
capace di coscienza che finora – almeno nel mondo occidentale – ha
ritenuto, essa unica, di dar principio e ordine all’attività pensante e alla
comprensione delle cose. Senza tuttavia assumere quale presupposto il
mancamento, alterità abissale che dà origine alla realtà dell’intero universo conosciuto.
Dice Nancy: “Il soggetto è quindi ciò la cui relazione con sé passa per
la propria negazione ed è questo ciò che gli conferisce l’unità infinita
d’inesorabile presenza a sé, persino nella sua assenza, cioè… persino nel
suo silenzio”.
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