Scritto da Luis Miguel Dominguín nel 1960, questo testo è l’espressione più autentica dell’affinità elettiva che lo lega a Pablo Picasso. Su invito dell’amico, il matador lascia la muleta per la penna e, seguendo il filo della memoria, si cimenta in una personale riflessione sull’arte, la tauromachia e i sentimenti umani. «La mia esistenza trova ampia giustificazione in tre cose: i tori, l’amicizia, l’arte. I tori sono la mia professione, l’amicizia la mia devozione e l’arte la mia vocazione.» La tauromachia, fonte di grande ispirazione per Picasso, viene qui spogliata della sua dimensione mondana, rivelando quanto vi sia di sacro e di archetipico in essa: rito tragico che attraverso il confronto tra l’umano e l’animale è, secondo le parole dell’etnologo Leiris, «il simbolo più adeguato di quel che in verità è il cuore fondo della nostra vita passionale.»tra l’umano e l’animale è, secondo le parole dell’etnologo Leiris, “il simbolo più adeguato di quel che in verità è il cuore fondo della nostra vita passionale”.
Il coraggio del torero che rifiutò di posare per sua maestà Picasso