La caleidoscopica Cina contemporanea di Ivan Franceschini raccolta in "cina.net"
Spesso, troppo spesso, la rappresentazione mainstream della Cina contemporanea procede per stereotipi e parole chiave di matrice orientalista (nel senso indicato da Edward Said in un noto testo del ‘78). La Cina sembra cioè rispondere, nei racconti dell’Occidente, a desideri e bisogni dell’immaginario e della propaganda più che a una reale volontà di conoscere e comprendere. Il risultato è un’immagine fissa, quasi mai una realtà complessa. La società cinese finisce così col presentarsi all’osservatore incauto come un blocco immobile e bipolare.
Da una parte i tycoon in Lamborghini, uomini di successo con pochi scrupoli e ammanicati col potere; dall’altra frotte di lavoratori sfruttati e senza speranza. Da un lato una leadership autoritaria e sorda alle istanze di democrazia e trasparenza; dall’altro una moltitudine passiva e indistinta (i cinesi “tutti uguali”) che obbedisce a testa bassa accecata dal miraggio del benessere economico. Nel mezzo pochi eroi, che si chiamino Ai Weiwei o Liu Xiaobo, soli a lottare contro il gigante una battaglia dall’esito scontato, nell’indifferenza (o nell’ostilità) generale.
Ciò che non si vede, o non si vuol vedere, è lo sviluppo di pulsioni molteplici all’interno dell’universo cinese, sono le mille onde che agitano e danno forma al fiume Giallo; è il sorgere, lento e faticoso, di una pluralità di aspirazioni in cerca di espressione e legittimazione. È anche il formarsi di una coscienza civile che, tramontato il sogno socialista, si interroga sul futuro della Cina e le storture del suo presente, cercando di agire, nel quotidiano e senza troppo rumore, per modificare dall’interno una realtà in cui certi diritti e libertà fondamentali sono ancora negati. Questa Cina in movimento fatica ad arrivare alle nostre cronache, sebbene negli ultimi anni alcuni giornalisti e studiosi stiano cercando di scardinare il discorso orientalista proponendo una visione multipolare di una nazione in continua evoluzione.
Ivan Franceschini è uno di questi. Dottorando di ricerca all’Università di Venezia, giornalista freelance, e, soprattutto, acuto osservatore “sul campo” della Cina (dove risiede da diversi anni), è stato curatore di blog sull’attualità cinese e autore di libri su tematiche legate al mondo del lavoro e alla società civile. La sua ultima fatica, Cina.net, pubblicata di recente per l’editore O barra O, è una raccolta “rivista e aggiornata” di contributi apparsi in rete dal 2009 ad oggi. Una sintesi del suo percorso di indagine sulla realtà cinese, libera (per quanto possibile umanamente) da illusioni e pregiudizi, che si snoda attraverso alcune direttrici principali: il lavoro, tra diritti negati e piccole conquiste; la costruzione di nuove identità collettive e la partecipazione politica nel mondo del web 2.0; lo sviluppo di una società civile che tenta di fare da contrappeso al potere dello stato, denunciandone le imperfezioni e colmandone le lacune.
Ne viene fuori un dipinto caleidoscopico, di fenomeni grandi (come tutto in Cina) che racchiudono storie piccole, intrecciate tra loro a formare un intrico cangiante che sfugge a definizioni ultime e semplificazioni. Lo stile svelto e diretto di Franceschini, che gli viene proprio dall’uso della forma mediatica del blog, per natura più sciolta ed essenziale, accompagna il lettore in un viaggio nei luoghi non comuni della contemporaneità cinese, svelando realtà inaspettate. Rivelando, ad esempio, che anche in Cina (in questo sì che è vicina) gli studenti universitari faticano a trovare una professione che risponda alle loro aspettative, oppure che gli scioperi di lavoratori sono migliaia ogni anno, o che la morsa della censura online concede invero margini di discussione e dissenso sapientemente sfruttati dal “popolo della rete”. Passando dal macroscopico al microscopico e viceversa, le riflessioni attente sul “sistema Cina” si alternano all’incontro con personaggi intriganti e spesso tragici: tra questi, Ren “l’attaccabrighe”, che ha studiato da autodidatta il diritto del lavoro e si impegna strenuamente nella denuncia dei soprusi dei padroni; Chen Fuchao, che minacciava di suicidarsi gettandosi da un ponte di Canton ed è stato buttato giù da un passante scocciato per il blocco del traffico (ma alla fine si è salvato); Zhou Mingde, ricoverato con la forza in un ospedale psichiatrico senza alcuna perizia medica che accertasse una patologia; Deng Yujiao, la cameriera accusata di aver accoltellato a morte un funzionario che aveva cercato di costringerla ad un rapporto sessuale, rapidamente assolta grazie al supporto dei netizen.
Filo conduttore di tutte queste narrazioni sembra essere proprio il web, che negli ultimi anni non è solo rappresentazione della società cinese ma anche spazio pubblico privilegiato di protesta e partecipazione civile. Lo dice la prefazione a cina.net: “Si può dire che non esista presa di posizione politica (anche da parte dei vertici), movimento artistico, dibattito sociale, scandalo, incidente, nulla che non si manifesti, non si espanda, non trovi sfogo in una Rete pervasiva e tentata dalla lusinga dell’onniscienza”. Lo segnalano anche il .net del titolo del libro, e il suo sottotitolo, Post dalla Cina del nuovo millennio. Dall’osservazione della rete è possibile infatti intercettare i profondi cambiamenti in atto nella contemporaneità cinese. È innegabile che Internet abbia prodotto una nuova forma di discorso su temi sia privati che di interesse generale e dato impulso alla libertà di espressione individuale e alla partecipazione politica.
L’idea di una progressiva democratizzazione e pluralizzazione della società cinese affascina lo studioso e l’appassionato di Cina, e chi, come Ivan Frnaceschini, spera nella nascita di “una società che avrà i pregi della nostra ma non i suoi difetti”. Ma la realtà è lontana dal corrispondere a questa aspettativa, e la situazione della Cina di oggi, intrappolata nei meccanismi di un darwinismo sociale portato talvolta agli eccessi e di uno stato onnipresente e spesso arbitrario, non permette troppo ottimismo.
A dispetto delle premesse, cina.net esprime una visione nel complesso negativa circa la direzione che sta prendendo la società cinese. Il finale del libro si carica di un senso di oppressione e inquietudine: l’immagine dei manicomi cinesi e del trattamento riservato a molti ritardati mentali, sottoposti a violenze, internati per il semplice volere di un parente, utilizzati come schiavi nelle fornaci, giustifica il titolo dell’ultimo capitolo, Kafka nei manicomi cinesi. E davvero la sensazione di un incubo kafkiano (o di un racconto del cinese Yu Hua) ritorna tra le pagine di cina.net ed emerge qua e là sotto il sogno di una Cina che cresce e cerca di conquistare il mondo: la censura, le minacce e le violenze agli attivisti, le condizioni di lavoro al limite dello schiavismo, le ONG chiuse senza apparente motivo, la vita grama dei migranti negli “alloggi-formicai”, i suicidi come strategia estrema per rivendicare i propri diritti; sono storie che fanno male.
Eppure, Franceschini racconta anche, ed è evidentemente la parte che gli piace di più, degli spiragli di resistenza alla “macchina”, delle miriadi di minuscole molle che riescono ad inceppare, anche solo per un istante, le rotelle dell’ingranaggio. “Questo libro è soprattutto per loro - scrive - tutti quei blogger, giornalisti, avvocati, lavoratori e comuni cittadini che non accettano le ingiustizie del sistema e lottano per un avvenire migliore”. E in questa empatia rintracciabile in tutto il suo lavoro, nella vicinanza agli entusiasmi e alle sofferenze di un popolo che cerca di (ri)costruirsi identità e valori, nel non restare mai indifferente alle vicende narrate, pare di rintracciare lo spirito di quel Tiziano Terzani (uno che l’Asia e la Cina le aveva amate intensamente e criticate impietosamente), ricordato e ringraziato dall’autore proprio nelle ultime pagine di cina.net.