Indian kiss
“Le ragazze indiane non baciano così”. Se lo sente dire il focoso fidanzato che porta fino in cima alla Tour Eiffel la protagonista di “An Evening in Paris”, musical bollywoodiano del 1967 che rappresenta uno dei punti di partenza del bel libro (Saggio antropologico? Diario di viaggio? Appunti di lavorazione per un documentario? Come per quasi tutto in India, anche qui le classificazioni hanno un senso solo orientativo...) di Franco La Cecla intitolato Indian Kiss proprio come il documentario che sta preparando e di cui è già possibile vedere il trailer.
Nella lunga storia di Bollywood, infatti, sono quasi del tutto assenti quei “baci alla francese” che il prete di “Nuovo Cinema Paradiso” faceva tagliare dal proiezionista Alfredo. O, se ci sono, sono interrotti nei modi più rocamboleschi, ridicoli o improbabili, o attraverso l'uso di metafore come accadeva a Hollywood nell'epoca del codice Hayes, le norme di censura cui la divina Mae West reagì con una sua battuta memorabile: “vogliono impedirmi di sedere sulla ginocchia di un uomo. A me, che sono stata su più ginocchia di qualsiasi tovagliolo!”. Un atteggiamento estetico che pare avere radici, nel desiderio di assecondare “un Paese enorme di famiglie Hindu e Musulmane che condividono lo stesso riserbo in fatto di intimità”. Questo non vuol dire che Bollywood sia casta: nel libro viene citato un altro, recentissimo film dall'eloquente titolo “The Dirty Picture” in cui si racconta l'ascesa e la caduta di un'aspirante attrice (la splendida diva Vidya Balan) che cerca di sfruttare l'intrinseca volgarità dell'ambiente cinematografico salvo, ovviamente e moralisticamente, rimanerne schiacciata alla fine. L'intimità in India (come altrove del resto: “niente baci sulla bocca” è sempre stato uno dei capisaldi della professione più antica del mondo), è diversa dagli atteggiamenti erotizzanti del cinema. In uno dei passi finali del libro il regista Ashvin Kumar (autore fra l'altro di The Forest) suggerisce all'autore di “intervistare le persone comuni, seguirle una volta uscite dal cinema, chiedere come mai non si baciano per strada, non si abbracciano nemmeno, come mai anche tra amanti e sposi di lunga data non ci sia nulla del genere, e come mai i figli non assistono mai a manifestazioni d'affetto fra i genitori in casa e stentano persino a immaginare che ne siano capaci”. Del resto anche nei film più sensuali, e quelli di Ashvin lo sono, le dive protagoniste sono solite arrivare sul set accompagnate dalla madre, come per offrire garanzia ai fan della moralità del lavoro che stanno svolgendo. E come dice l'autore “Il passaggio alla Bollywood che bacia è impacciato, come se i registi non sapessero riprendere il bacio tanto agognato, come se gli attori non sapessero baciare. Si baciano come se stessero sbocconcellando un pezzo di torta”.
Un po' l'antico “si fa ma non si dice”, e non lo si mostra al cinema, soprattutto quando il cinema svolge una funzione di intrattenimento veramente di massa, come da noi succedeva soltanto, e in minima parte rispetto a quanto accade in India, durante i primi anni del secondo dopoguerra: un esempio di vera cultura di massa che ha ancora tutte le caratteristiche di una genuina cultura popolare. Una cultura di cui i fruitori conoscono tutte le regole comunicazionali: le canzoni e i balletti usati con la stessa funzione di commento e di riflessione sugli eventi che la tragedia greca riservava al coro, la partecipazione emotiva al momento della proiezione come succedeva nella sceneggiata napoletana, l'attesa di un deus ex machina che risolva le situazioni... E tutto questo triturando, macinando, mescolando ogni tipo di argomento anche di stringente attualità al servizio di una produzione numericamente sterminata. Per i cinefili e gli amanti di Bollywood il libro è una chicca imperdibile, con interviste a personaggi chiave della cinematografia indiana e una ricca filmografia citata in appendice (personalmente cercheremo il film sul pittore indiano Raja Ravi Varma che per primo ha raffigurato ad olio le divinità nude, interpretato da Nandana Sen, nume tutelare del viaggio dell'autore del libro) ma anche per tutti gli altri è una fonte inesauribile di storie. C'è quella del vecchio di alta famiglia che, alla morte della moglie, decide di vincere il lutto diventando lei e di passare il resto della sua vita negli abiti della sposa. C'è la vera ragione per cui gli abitanti di Dharavi, la più grande bidonville di Bombay, si sono offesi per il termine SLUMDOG usato nel film The Millionaire: non tanto per il “dog” quanto per lo “slum”, dal momento che il modello economico di operosità sottopagata da formicaio che regola questa città nella città è quello che sta alla base dello sviluppo economico indiano. E ci sono le spiegazioni dei due nomi della capitale indiana del cinema: quello attuatale, Mumbai, che deriva dalla dea Mumbadevi e quello di origine portoghese Bom Bay, buona baia. Tante curiostà, annotazioni interessanti, suggerimenti di film da vedere: non male, per un libro solo...