Franco La Cecla, 'Indian Kiss': in India, sul set della vita
Perché a Nuova Delhi il bacio viene considerato osceno, perfino più del sesso esplicito? Il progetto di un documentario sull'ambiguità dell'erotismo nel mondo indiano è il pretesto di un viaggio nelle emozioni di questo grande paese.
L'incontro con Nandana Sen, star di Bollywood e figlia del Nobel per l'economia Amartya, "accende" un ambizioso progetto che Franco La Cecla, antropologo architetto e instancabile viaggiatore, coltiva da un po': Indian Kiss, documentario sul tema del bacio "omesso" nel cinema di Bollywood, specchio dell'ancestrale riserbo dell'intimità indiana. Un eccesso di pudore che, spudoratamente, contraddice il registro provocante e allusivo su cui si basa la maggioranza delle pellicole. In India, coacervo di opposti, i baci "rappresentano la vera pornografia, più degli amplessi o delle scene di nudità". La Cecla atterra a Mumbai e compila un diario di impressioni e progetti, incontri e stati d'animo, descrizioni e passioni e verità intraviste. Con una ristretta cerchia comunica via mail le sensazioni più immediate, ricevendone in cambio il calore di cui è capace questa "contemporaneità defisicizzata" - magnifica sintesi del nostro tempo iperconnesso. Indian Kiss è il precipitato di questa esperienza nel cuore dell'India e della sua cultura popolare. Là dove premi Nobel, artisti, starlet e l'eroico popolo di diseredati condividono orrori e speranze dotati del medesimo, misterioso amor fati. Lo scimmiottamento di Hollywood non ha minato la matrice profondamente popolare del cinema indiano. Anzi Bollywood, dice La Cecla, è un grande contenitore di tutte le energie intellettuali del paese. Era così forse la Roma della Dolce Vita, di Fellini e Flaiano (bei tempi, ricorda lo studioso). La rappresentazione è sempre la stessa: Mahabharata e Ramayana, la grande epopea in salsa pop. Cultura di massa insomma, in cui la musica e la danza sono una sorta di metalinguaggio come nell'archetipo greco. Un po' come se da noi andassero sempre in scena i topoi della commedia dell'arte, come se i soggetti del cinema occidentale fossero un'infinita variante dell'Iliade e dell'Odissea, o magari della Divina Commedia (e se invece fosse davvero così?). A Bollywood il pubblico è parte attiva della fiction, parteggia per attori e cantanti e danzatori con passione e competenza. Con sgangherato ardore. Però il bacio no. L'inquadratura che sfuma o la palma che si interpone fra le labbra degli attori è il simbolo di una visione dell'amore, dice Anand Giridharadas nel suo Ritorno in India, fatta di assenze. Nel paese del Kamasutra prevale oggi un freddo senso pratico dei rapporti. Affettività, emozioni, eros sembrano banditi. Nascere donna è, invariabilmente, una sfortuna. La violenza è talmente diffusa nel rituale domestico e quotidiano da non fare più notizia, tanto è vero che nello scorso dicembre 2012 le manifestazioni di piazza a Delhi hanno fatto fatto più scalpore (anche sui nostri giornali) della miccia che le aveva provocate: il brutale stupro di una studentessa a bordo di un bus. La Cecla atterra a Mumbai e viene stordito, sopraffatto dall'odore dell'India. Dalla marea umana che la notte si ritira sui marciapiedi e negli androni lasciando dietro di sé una scia di detriti che la città ingloba in fauci mostruose. Mumbai luna park dell'orrore. Avvoltoi e sapore di mare. City of Gold e Gotham City. Sogno e incubo. Cacciatori del lusso e raccoglitori di rifiuti. Slum e supercondomini con vista. Accettato il mal di testa come sottofondo della sopravvivenza, lo scrittore si sposta da un capo all'altro delle due città che non si incontreranno mai. Vi si immerge per un breve istante col collo proteso all'ingiù come un fenicottero ubriaco. Mumbai fascino irresistibile di una città musa. La Cecla ne subisce il giogo ma intanto aggiunge preziosi squarci in un dialogo aperto con i suoi migliori interpreti. Una città costantemente sull'orlo del collasso eppure secondo Gyan Prakash, acuto osservatore della sua evoluzione in La città color zafferano. Bombay tra metropoli e mito, "nei giornali degli anni '30 si dicevano le stesse cose e poi di nuovo negli anni '80". Una città in cui l'arte di arrangiarsi, la capacità di inventarsi risorse raggiunge sublimi vette e biechi abissi, come hanno raccontato Gregory David Roberts in Shantaram e Katherine Boo in Belle per sempre. La Cecla è andato a verificarlo di persona nell'immenso slum di Dharavi, che rappresenta la "dark side" del miracolo economico indiano. Al di là del pretesto che lo muove, Indian Kiss è il prototipo del moderno diario di viaggio. Fra le righe offre considerazioni emozionanti sul senso, il tempo, il fine e la fine del perdersi e del viaggiare, quel punto in cui come la vita perfino il viaggio "diventa opaco, una solitudine che ha un che di giallognolo, di irreale". E appare come un insight la differenza tra raccontare storie e inventarle, quella differenza che il viaggio annulla perché si apparenta più col sogno che col reale. Nell'obnubilamento da rumore di fondo che invischia chiunque approdi in India, nella mescola disorganica di incontri reali e prestiti letterari-cinematografici, nella corrispondenza wireless e nella solitudine di un tempietto in cima al nulla, nell'alternarsi di urbanità stanziale e frenetici spostamenti - Rajasthan, Goa, Calcutta - Indian Kiss è il resoconto di un cortocircuito interiore. Il rito di passaggio di ogni viaggiatore.