Recensione
Da "Conquiste del lavoro"Dopo aver molto discusso sul concetto di Cindia, un fantaimpero costituito dalle rampanti economie di Cina e India, si potrebbe presto iniziare a parlare di Cinafrica, in considerazione della crescente interazione fra l'Impero di Mezzo e il continente nero. Ma se Pechino e New Dehli corrono parallele e indipendenti entrando, non di rado, in competizione l'una con l'altra, il rapporto tra la Cina e l'Africa appare strutturato su basi ben diverse.La netta sproporzione fra le due economie, vivace e sulla cresta dell'onda quella cinese, atavicamente depressa e alla costante ricerca di una propria identità quella africana, fa sì che Cinafrica tenda a costituirsi su nuovi legami di dipendenza e sudditanza in cui non pochi hanno riconosciuto una nuova forma di colonialismo.A proporci un'approfondita analisi di questo nuovo sviluppo delle relazioni internazionali sono Cecilia Brighi, sindacalista Cisl esperta di politiche asiatiche, Irene Panozzo giornalista specializzata in Africa, e Ilaria Maria Sala corrispondente da Hong Kong per varie testate italiane; il loro libro "Safari cinese. Petrolio, risorse, mercati. La Cina conquista l'Africa" (Edizioni O barra O, pp.108, euro 12,50) è il primo a uscire su questo specifico argomento e promette di aprire una strada che molti analisti di politica internazionale saranno obbligati a seguire. Ma cosa cercano i cinesi in una terra tristemente famosa per povertà, conflitti e corruzione e che fatica a superare i postumi dell'età coloniale per immettersi una volta per tutte su uno stabile e convincente percorso di sviluppo autonomo e sostenibile? La prima risposta è naturalmente quella legata alle immense risorse, ancora per la maggior parte da sfruttare, di cui il continente africano dispone: non è un caso che le grandi imprese cinesi siano attive in tutti i principali campi, petrolifero, industriale, agricolo e infrastrutturale. Se il petrolio, il rame e il coltan fanno gola a molti, è però da considerare come la strategia cinese sia molto più raffinata e non si basi sui vecchi dogmi di stampo coloniale che prevedono l'asservimento della popolazione locale e la semplice spoliazione delle ricchezze. Anzi è proprio prendendo le mosse da questa ingombrante e negativa eredità che i cinesi si pongono come alternativa culturale oltre che economica. Una strategia complessa che affonda le radici nel periodo di Mao assertore dell'apertura di una via al "socialismoafricano" e di un'alleanza sino-africana da contrapporre all'odiato imperialismo occidentale.Questo "taglio ideologico" che contrappone occidente a oriente in nome dell'emancipazione del sud non può non condurre, secondo le autrici, ad una serie di effetti collaterali. La totale disattenzione della Cina rispetto alla violazione dei diritti umani e i 1.200 dollari di armi che Pechino venderebbe,secondo l'ultimo rapporto di Amnesty International, in giro per il continente africano rappresentano degli ostacoli allo sviluppo civile di molti Stati. Il caso del Sudan, che copre il 5% del fabbisogno di petrolio della Cina, è da questo punto di vista emblematico visto che Pechino si ostina a difendere il regime di Khartoum dalle accuse di genocidio in Darfur continuando, al contempo, a fornirgli armi. L'influenza cinese rischia dunque, da questo punto di vista, di far regredire e di bloccare i paesi africani nel loro percorso di riconoscimento e difesa dei diritti umani.Cosa dobbiamo dunque aspettarci nel prossimo futuro? Alcuni dati possono rispondere al meglio a questa domanda: il volume degli scambi commerciali fra Cina e India è quadruplicato negli ultimi cinque anni arrivando a toccare i 32 miliardi di dollari e la promessa del premier cinese Wen Jiabao è quella di toccare i 100 miliardi per il 2010. Il colosso orientale è insomma fortemente interessato a stendere la sua influenza in Africa, previo accordi economici e politici, per avere sempre più peso a livello internazionale e per porre sotto il proprio controllo le ingenti ricchezze presenti nel continente. Una strategia pianificata nei minimi dettagli per accrescere sempre più il potere della Cina nell'agone della politica mondiale.